Pubblicato sul LeggiOggi.it il 9 aprile 2016 –
C’era una volta il viaggio in treno, in cui a volte capitava di confidarsi con degli sconosciuti, perché è più facile parlare con chi non ti conosce e non fa parte della tua vita: poteva capitare di sfogarsi, confrontarsi, chiedere consigli, per poi scendere alle rispettive fermate e tornare alla propria vita un po’ più leggeri.
Ci sono oggi i social network, luoghi apparentemente virtuali, dove spesso assistiamo alla messa in piazza di fatti personali e immagini private a volte a dir poco sconcertanti. Siamo portati a credere che pubblicare su un social network equivalga quasi a confidarsi con degli sconosciuti, così postiamo cose che una volta non avremmo condiviso neanche con gli amici più stretti. E’ quindi un proliferare di status sulla propria situazione emotiva, sulle discordie in famiglia, su problemi di lavoro e frustrazioni personali… Per non parlare delle foto: ammiccamenti, ebbrezza d’alcool, situazioni variamente imbarazzanti.
E con chi condividiamo questi contenuti? Spesso non solo con i nostri “amici”, ma col mondo intero perché nella maggior parte dei casi non impostiamo neanche le limitazioni relative alla privacy – che pure sono fornite dalle piattaforme social – e allora la nostra foto può finire tra i risultati di ricerca su Google. Non ci si deve stupire allora se la stampa riporta casi di licenziamento causati da ciò che si è pubblicato su Facebook o se i cacciatori di teste “googlano” i nomi dei candidati, cioè ne verificano la reputazione online.
COME TUTELARE LA NOSTRA PRIVACY?
Mai come oggi è stato possibile conoscere qualcuno senza neanche averlo incontrato personalmente. Da ciò che pubblica online capiamo chi è, cosa pensa, come e dove vive, quanti e quali sono i membri della sua famiglia, chi sono i suoi amici, cosa fa per divertirsi e anche se possiamo o meno reputarlo affidabile e capace di svolgere una determinata attività lavorativa.
E non dobbiamo gridare al lupo pensando che il lupo sia il social network che carpisce con l’inganno e divulga così i nostri dati personali. Siamo noi a fornire i nostri dati e sposso a renderli completamente pubblici: siamo noi a non rispettare per primi la nostra privacy.
Ci sono oggi anche i gruppi di Facebook, luoghi straordinari di aggregazione, dove si trovano persone che condividono i nostri interessi professionali oppure hobby o ancora situazioni di vita, come essere sportivi, genitori o mogli e casalinghe. I gruppi possono essere: pubblici (tutto ciò che pubblichiamo è di pubblico dominio), chiusi (tutti possono conoscerne l’esistenza e anche vedere chi ne fa parte, ma solo chi viene accettato come membro può vedere cosa viene pubblicato), segreti (solo gli iscritti ne conoscono l’esistenza).
Capita quindi, soprattutto nei gruppi chiusi o segreti, che ci si lasci andare a confidenze anche molto intime. Ci si fida perché si crede di parlare tra persone che ci somigliano e che hanno le nostre stesse problematiche. Spesso ad esporsi è sempre una cerchia ristretta di persone le quali diventano realmente amiche e di supporto l’una all’altra e così aumenta l’illusione di essere tra pochi intimi. Ma c’è un folto numero di persone che ascolta in silenzio e nella maggior parte dei casi lo fa per pudore, appassionandosi e partecipando empaticamente alla vita di chi invece si espone.
Però, come sempre quando si è in tanti, possiamo trovare dei pericoli per la nostra privacy: tra i membri possono esserci conoscenti, vicini di casa o parenti a cui non vorremmo mai confidare i nostri pensieri più intimi oppure profili falsi creati con intenzioni non proprio pulite. Pensiamo al fenomeno della pedofilia e alle informazioni sulle abitudini familiari che si possono trarre dalle nostre confidenze. Ma senza arrivare a questo, dobbiamo considerare che il genere umano è davvero vario. E’ capitato ad esempio, all’interno di un gruppo formato da sole donne, che una delle iscritte facesse degli screenshot (cioè delle foto alla schermata dello smartphone o del pc) a quello che alcuni membri scrivevano in merito ai comportamenti dei rispettivi mariti, per poi contattare questi ultimi su Facebook e inviare loro queste confidenze. Perché fare una cosa del genere? Non lo so. Il risultato è stato però devastante per le persone coinvolte e per il gruppo stesso. Pensiamo poi cosa possa succedere quando qualcosa del genere capiti a persone con situazioni di violenza domestica o con cause di separazione in corso dove sia in ballo anche l’affidamento dei figli. Attenzione quindi: tutto ciò che scriviamo può essere usato contro di noi.
COSA FARE IN CONCRETO PER DIFENDERCI?
Morale della storia: stiamo attenti a ciò che pubblichiamo. Consideriamo sempre che qualcuno potrebbe farne un uso improprio, che magari neanche immaginiamo. I social network sono uno straordinario strumento di comunicazione e confronto, ma non saranno mai un luogo sicuro dove condividere la nostra vita più intima.
Pensiamo ad esempio a Snapchat, l’app che consente di inviare post che si auto cancellano pochi secondi dopo essere stati visti. Ciò può creare l’illusione di poter condividere senza pensieri messaggi, foto e video in quanto comunque non ne rimarrà traccia. Proprio per questa sua caratteristica, che sembra tutelare maggiormente la privacy, Snapchat si è subito diffuso tra i giovani. Ma si tratta di un’illusione, in quanto chi visiona i post può non essere da solo in quel momento e può in ogni caso salvarne i contenuti prima che si cancellino. E’ per questo che anche nell’anteprima della presentazione dell’app da scaricare si avverte: “Nota: gli Snapchatter possono sempre catturare o salvare i tuoi messaggi facendo uno screenshot oppure utilizzando una fotocamera. Fai attenzione agli Snap che invii!”
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